Accade alla Torre

La casa che ci manca

In questi giorni abbiamo avuto modo di pensare innanzitutto a quanto siamo fortunati anche solo perché siamo a casa in salute a goderci la famiglia. Pensiamo però anche – e non potrebbe essere altrimenti – a quanto ci manca la quotidianità, nella sua non banale semplicità.

 

Non banale, appunto, perché abbiamo scoperto come tanti gesti che effettuiamo con ripetitività siano oggi quelli dei quali sentiamo più la nostalgia. Scendere alla Torre, per lo Chef come per la brigata e per chi lavora in sala, vuol dire innanzitutto prefigurarsi come andrà il servizio, scambiarsi il primo “assonnato” saluto e poi aspettare tutti insieme il rito del caffè. Le due chiacchiere nell’attesa non sono convenevoli ma uno spaccato di vita e poi adesso ci sarebbe la possibilità magari di gustarlo in terrazza proprio mentre la primavera prende forma. Già, sono questi i giorni nei quali anche alla Torre del Saracino cambiano i colori, i profumi e senti normalmente un’aria diversa, quell’aria che ci manca tanto.

 

Manca tanto pure poter avvertire quella atmosfera adrenalinica che prelude alle preparazioni dei piatti, manca il confronto che avviene costante, talvolta silenzioso e talvolta a voce alta, su quello che c’è da fare e su come farlo. Guardare l’orologio, vedere la sala che si anima, leggere negli occhi di tutti quel desiderio di dare il massimo, quel piacere intimo di essere lì in quell’istante. Ecco, sono tante le piccole cose che mancano: il contatto umano, come detto, ma anche con la materia prima, con gli attrezzi e gli strumenti di lavoro. C’è un aspetto tattile che dà soddisfazione a chi ama il proprio mestiere, per noi maneggiare un coltello o “spadellare” è come usare la penna e il taccuino per un giornalista. Per noi entrare nella cucina del ristorante è come entrare a casa e oggi che siamo a casa ce ne rendiamo conto ancor di più.

 

 

 

 

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